UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

10 marzo – IV Domenica

La Chiesa è una comunità conviviale: il banchetto che sazia è per chi è vicino e per chi è lontano, per chi torna e per chi vaga nel deserto.Gesù racconta questa parabola per rispondere ai farisei che mormoravano, perché il Maestro lasciava che i pubblicani e i peccatori si avvicinassero, mangiando, addirittura, con loro! Gesù […]
31 Gennaio 2013
La Chiesa è una comunità conviviale: il banchetto che sazia è per chi è vicino e per chi è lontano, per chi torna e per chi vaga nel deserto.
Gesù racconta questa parabola per rispondere ai farisei che mormoravano, perché il Maestro lasciava che i pubblicani e i peccatori si avvicinassero, mangiando, addirittura, con loro! Gesù carica il racconto di significati. Il figlio esce di casa con il suo avere e si reca in un paese sicuramente pagano, dove dilapida le sue sostanze vivendo nel piacere sfrenato; quando si trova sul lastrico, trova lavoro come guardiano di porci, l’animale impuro per eccellenza (Lv 11,7). Rientra in sé, spinto dalla fame, decide di ritornare dal padre e addirittura prepara un discorso per commuoverlo, manca però una componente essenziale: il pentimento. A questo punto entra in scena il padre, che viene caratterizzato da cinque verbi: lo vede da lontano, perché da sempre lo aspetta; si commuove fino alle viscere, perché solo Dio ama così profondamente e totalmente l’uomo da sentirsi totalmente preso da questo sentimento; si mette a correre, perché è il suo cuore che lo “comanda”; gli si getta al collo, per immergerlo nel suo amore, nel suo cuore; non finisce di baciarlo, segno di perdono e di felicità. Il figlio inizia a dirgli il discorso preparato, ma il padre lo interrompe proprio quando sta per dire di non essere degno di chiamarsi figlio ma servo. Il padre ordina di mettergli tutti i segni del figlio e di nuovo partecipe dell’eredità. Il fratello, sentito l’accaduto, si indigna e rimprovera aspramente il padre. La differenza sostanziale fra i due figli è che il maggiore si sente servo (nel dialogo non usa mai il termine “padre”) e non si sente appartenente alla famiglia (chiama il fratello “questo tuo figlio”). Il giovane, invece, lo chiama più volte “padre”. Dio non cerca solo servi che operino bene, ma dei figli che lo sappiano riconoscere come padre soprattutto quando ci accoglie e ci perdona. La parabola non ci dice se il fratello maggiore sia entrato e se il minore rimanga a casa per sempre: a volte andiamo, a volte torniamo, a volte giudichiamo i fratelli. La cosa certa è che Dio sempre ci aspetta per iniziare la festa e per donarci la sua eredità, che è indivisibile e inestinguibile. Gesù narra che la festa inizia per dirci che si interrompe ogni volta che ci allontaniamo dalla casa del Padre, ma che prontamente riprende ogni volta che vi torniamo e andrà avanti senza interruzione solo quando tutti i figli saranno ritornati.