UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

30 marzo – IV Domenica

Gesù di fronte alla malattia Gesù si confronta con una condizione di malattia, che richiama immediatamente il male radicale del peccato. La condizione umana è segnata da una situazione di disarmonia nella relazione con Dio, dall’illusione di autosufficienza, e questo certamente sta in rapporto con la presenza del dolore e della malattia: ma non secondo […]
17 Febbraio 2014
Gesù di fronte alla malattia
Gesù si confronta con una condizione di malattia, che richiama immediatamente il male radicale del peccato. La condizione umana è segnata da una situazione di disarmonia nella relazione con Dio, dall’illusione di autosufficienza, e questo certamente sta in rapporto con la presenza del dolore e della malattia: ma non secondo la consequenzialità quasi matematica prevista dai discepoli. E nell’agire di Gesù comincia a configurarsi una possibilità sorprendente e inedita: prendere su di sé il dolore e la sofferenza, pur essendo innocente dal peccato.
L’abbassamento di Gesù si manifesta dunque in questo brano nella cura per la persona malata ed esclusa dalla partecipazione alla vita comunitaria; in questo la sua azione viene accolta. Gesù inoltre si china anche su chi si trova nel peccato, senza rendersene conto: ma da questo altro punto di vista la sua azione viene rifiutata.
 
Chi ha peccato?
Nella prima scena, di fronte al malato, i discepoli si interrogano sulla colpa del cieco e dei suoi genitori,  immaginando la sua condizione come una conseguenza di un male compiuto. Gesù invita a superare i facili schematismi. Occorre entrare nel progetto di Dio, in cui coloro che vedono alla fine sono rivelati ciechi, e i ciechi possono arrivare a vedere. Nello sviluppo del Brano Gesù stesso è  qualificato come peccatore, perché agisce di sabato, e di nuovo il cieco è cacciato via, perché “nato tutto nei peccati”. Solo al termine della disputa, scopriamo che in realtà il peccato riguarda i farisei, che credono di vedere, ma rifiutano Gesù. Non è certamente il malato il peccatore più grande. I giudizi troppo facili devono essere sospesi.
 
 
 
Finché è giorno
Aggiungiamo che l’agire di Gesù avviene nel contesto di un pieno riconoscimento della fragilità e precarietà dell’esistenza. «Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo»: con queste parole si allude alla Passione che lo aspetta, al fatto che egli verrà tolto dal mondo. Nel breve volgere di tempo della sua esistenza terrena, l’unico criterio di Gesù resta il compiere la volontà del Padre. Non sempre è facile da parte nostra vivere la stessa consapevolezza. Molti trascorrono lunghi periodi della loro vita senza valutare il dono della vista, della salute, dell’efficienza fisica, e rendendosene conto solo quando vengono perduti. Anche per noi vale la parola di Gesù: “Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno”. Non dobbiamo lasciarci frenare dalla constatazione di vivere un’esistenza fragile e precaria. C’è chi non riesce ad accostarsi ai sofferenti, appunto perché è un’esperienza che continuamente ricorda quanto siamo fragili. Gesù ci mostra come può essere valorizzata in positivo la limitatezza della nostra stessa vita.
 
Il gesto della nuova creazione
Impastare del fango è l’azione creatrice di Dio nel secondo capitolo del libro della Genesi: l’uomo è “plasmato con polvere dal suolo”. Avviene così nella guarigione del cieco una sorta di nuova creazione, un ritorno alla condizione originaria, secondo il progetto di Dio. Anche il nome della piscina sembra alludere alla missione di Gesù: è lui l’inviato del Padre, colui che può riportare ogni persona alla pienezza della relazione con il Padre. Il gesto è semplice e povero, e ha il sapore della quotidianità; la guarigione è presentata senza  alcuna spettacolarità. Il cieco stesso, obbedendo in tutto alle parole di Gesù, scopre di avere la vista.
 
La folla di fronte al mendicante
Una piccola folla per prima commenta l’accaduto. Per il cieco è estremamente difficile scrollarsi di dosso l’etichetta della sua vita precedente. Ancor oggi per chi è malato, per chi è caduto nella miseria, per chi è sprofondato nel peccato, è estremamente difficile riacquistare la stima e la considerazione. Anche nella prima lettura il profeta stesso di Dio è sottoposto al fraintendimento: egli immagina che il re scelto da Dio debba essere per forza il più grande e il più forte dei figli di Iesse. Ma Dio ha scelto il più piccolo dei fratelli, quello che non è neppure presente all’incontro con il profeta.
L’uomo vede le apparenze, il Signore vede il cuore. Da parte sua il cieco comincia a lottare contro le apparenze, e in tal modo comincia a rendere testimonianza di Gesù, in maniera certamente imperfetta, ma reale.
E nella lotta verbale si manifesta una insospettata saldezza di cuore: una testimonianza paradossale, da parte di chi diventa, quasi suo malgrado, proclamatore di Gesù quasi senza conoscerlo.
 
I farisei e il sabato
La folla conduce il cieco guarito dai farisei: un altro modo di prendere le distanze, e manifestare sfiducia, non solo in chi era povero e mendicante, ma anche nelle proprie capacità di giudizio. Sottomettersi ad un potere forte può essere molto rassicurante, perché dispensa dalla fatica e dalla responsabilità della libertà. Anche nella nostra attuale situazione vediamo in atto lo stesso meccanismo: a fronte dell’esaltazione retorica e propagandistica della libertà, vediamo le persone sempre più ingabbiate in un sistema di potere e di controllo, in cui chi non si adegua è guardato con sospetto. L’inaspettata guarigione del cieco mette in discussione un sistema di relazioni che si è consolidato lungamente, in cui ciò che vale è prima di tutto la legge, non la persona. L’interesse fondamentale dei farisei si concentra sul rispetto del sabato, sulla pericolosità della figura di Gesù, sui pregiudizi che vengono ribaltati nell’evento della guarigione: perfino i genitori prendono le distanze dal figlio. La persona viene all’ultimo posto.
 
Un peccatore?
Il cieco era tra gli ultimi: e ultimo resta. L’interrogatorio, che l’evangelista dipinge con grande finezza e ironia, ha come esito inevitabile la sua cacciata dalla sinagoga. Nel corso dell’interrogatorio prima Gesù, poi il cieco stesso, sono identificati come peccatori, mentre emerge la chiusura e la cecità di coloro che pretendono di giudicarlo. Emerge con chiarezza, di nuovo, la tentazione: una tentazione terribile, perché si appoggia sulla legge stessa di Dio. La legge del sabato diventa strumento di potere, di controllo, non più strumento di liberazione, per consentire a tutti di entrare in relazione con il Signore che ha liberato Israele dall’Egitto.
 
Credo, Signore
Il cieco, senza conoscerlo, ha reso testimonianza a Gesù; l’ultimo passaggio è l’incontro personale. Colui che è stato guarito nella vista fisica, ora può aprirsi alla visione della fede. Le proporzioni numeriche non sono confortanti: uno solo tra tanti personaggi che appaiono allo sguardo del lettore dimostra pienezza di fede e di visione. La stessa sensazione ci accompagna anche nel nostro tempo, in cui sempre più la fede è messa in discussione. Possiamo fare nostre le parole del salmo: “Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici”.
Da sempre chi crede in Dio vive come pellegrino, talvolta come un fuggiasco, sottoposto allo sguardo inquisitore dell’avversario. La parola divina ci invita a prender coscienza della nostra situazione, non nasconde la difficoltà, ma nello stesso tempo ci conforta e ci dà fiducia: “Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore” dice la lettera agli Efesini. Coloro che hanno creduto nel Figlio dell’Uomo non sono più obbligati a seguire le “opere delle tenebre”, hanno ricevuto la forza per “condannarle apertamente” e manifestarsi come luce.