UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

4 maggio – III Domenica di Pasqua

La via del fallimento I discepoli di Emmaus sono incamminati sulla via del fallimento. Ma l’insuccesso è più nella loro mente che nella realtà dei fatti. Con suprema ironia l’evangelista ci mostra la loro ritirata subito dopo aver presentato l’annuncio della vittoria. Sulla strada della sconfitta dunque il Risorto si accompagna a loro. Qui sta […]
17 Febbraio 2014
La via del fallimento
I discepoli di Emmaus sono incamminati sulla via del fallimento. Ma l’insuccesso è più nella loro mente che nella realtà dei fatti. Con suprema ironia l’evangelista ci mostra la loro ritirata subito dopo aver presentato l’annuncio della vittoria. Sulla strada della sconfitta dunque il Risorto si accompagna a loro. Qui sta un aspetto della sua vittoria sul peccato e sulla sua esaltazione da parte del Padre: potersi affiancare a tutti coloro che sono tentati dalla disperazione e dall’amarezza di aver fallito.
 
Lontano da Gerusalemme
Allontanarsi da Gerusalemme significa allontanarsi dal luogo della salvezza; significa autoescludersi dalla comunità dei credenti; significa soprattutto non credere alla potenza di Dio. Allontanarsi da Gerusalemme è anche allontanarsi da lui. Tuttavia la vittoria di Gesù, colui che non va cercato tra i morti, il Vivente, consiste anche nell’impossibilità di allontanarsi davvero da lui: proprio in quanto risorto egli può farsi vicino ad ogni persona tentata dalla disperazione, può affiancarsi a chi ha smarrito la speranza. E la sua Chiesa condivide la stessa prerogativa, e diventa talvolta lo strumento attraverso cui il Risorto può manifestarsi nella storia.
 
Il rimprovero
Il recupero degli animi smarriti avviene per gradi. Il primo passaggio è quello dell’ascolto; il secondo è il rimprovero aperto: «Stolti e lenti di cuore». Vedremo che anche nel brano degli Atti della prima lettura appare la stessa franchezza e disinvoltura nel mettere davanti all’interlocutore la drammaticità della sua condizione. Un simile rimprovero può essere risanante. Il rispetto e la paura di ferire possono favorire una sorta di cancrena dello spirito. Esiste però una condizione essenziale perché il rimprovero possa essere accolto e riconosciuto come salutare: che si sia davvero camminato insieme. Che ci sia stato un vero ascolto.
Il successo
L’intuizione fondamentale che viene esposta ai due discepoli è che ciò che essi considerano un fallimento è stato in realtà l’avverarsi delle scritture, un passaggio decisivo nel compimento del progetto di Dio. Le sofferenze erano necessarie per entrare nella gloria. Dall’intuizione di partenza, si sviluppa una lunga spiegazione, che riguarda tutte le Scritture. Non sappiamo se una simile spiegazione li abbia davvero convinti; si dice però chiaramente che essi desiderano stare con lui, che egli non li abbandoni.
 
Resta con noi
Possiamo fare nostra la preghiera dei due discepoli di Emmaus: «Resta con noi, Signore»; e anche nel salmo responsoriale preghiamo: «Mi indicherai il sentiero della vita, gioia senza fine alla tua presenza». Vogliamo anche noi percorrere il sentiero di Gesù, vogliamo anche noi restare alla gioia della sua presenza. Ciò si realizza in maniera eminente nella celebrazione eucaristica: quando spezza il pane, i loro occhi si aprono al riconoscimento del Risorto. E davvero nel pane spezzato il Risorto resta con noi, fa ardere il nostro cuore, ci riabilita alla missione.
 
L’azione della Chiesa: parlare con franchezza
Una delle azioni fondamentali della Chiesa del Risorto è il parlare con franchezza. Nel brano evangelico abbiamo il prototipo nel rimprovero che viene rivolto ai due discepoli; nel brano degli Atti possiamo rileggere in una simile ottica tutto il discorso di Pietro: egli ha il coraggio di affermare tre verità scomode: innanzitutto, che Gesù è morto per mano di pagani, ma la responsabilità è del popolo (“l’avete crocifisso e l’avete ucciso”). La seconda verità scomoda è che Gesù è risorto, è stato liberato dalla morte per la potenza di Dio. La terza verità scomoda è che di tutto ciò si possono trovare le tracce nella Scrittura, e che la Scrittura stessa mostra i segni di una certa sua incompiutezza: il salmo di Davide canta la benevolenza di Dio, che non permetterà al suo santo di vedere la corruzione: ma Davide è morto; la promessa di Dio era di far sedere sul trono un discendente di Davide: ma questo non si è verificato. La Scrittura non ha sbagliato, ma è rimasta come sospesa, in attesa della risurrezione di Cristo. Soprattutto un simile discorso risulta ostico: significa infatti ridefinire l’autorità suprema della Scrittura, collegandola alla vicenda di Cristo.
 
Pellegrini nel mondo
La lettera di Pietro ricorda ai credenti che essi vivono in questo mondo “come stranieri”, e che il criterio della loro esistenza è il “timore di Dio”. Il coraggio di parlare del Vangelo deriva appunto dal riconoscimento dell’importanza di Dio, e da un certo distacco (che non va confuso con l’indifferenza). Chi si considera straniero e pellegrino non ha mire di possesso, non vuole impadronirsi dei beni dell’altro, ma vuole piuttosto il suo bene. La libertà dalla sete di conquista è anche la condizione essenziale per farsi vicini ad ogni persona, soprattutto a chi è più provato e tentato dalla disperazione. Chi è troppo impegnato a conservare il suo, non può perdere troppo tempo a cercare insieme all’altro la via per ritornare a Dio.
La libertà del Risorto, che cammina con ogni uomo, e di preferenza si fa vicino proprio a chi si allontana ed è più disperato, dovrebbe diventare la stessa libertà della Chiesa e dei credenti.