UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

15 dicembre – III Domenica di Avvento

Giovanni, il profeta più grante Spunti biblici Irrobustite le mani fiaccheI profeti nella storia di Israele appaiono come coloro che seppero essere massimamente “consapevoli del momento”. La liturgia della III domenica di Avvento propone un brano dal libro del profeta Isaia che ci mostra l’aspetto ottimista e propositivo della consapevolezza profetica: in un’epoca di smarrimento e disperazione, […]
17 Ottobre 2013
Giovanni, il profeta più grante
 
Spunti biblici
 
Irrobustite le mani fiacche
I profeti nella storia di Israele appaiono come coloro che seppero essere massimamente “consapevoli del momento”. La liturgia della III domenica di Avvento propone un brano dal libro del profeta Isaia che ci mostra l’aspetto ottimista e propositivo della consapevolezza profetica: in un’epoca di smarrimento e disperazione, il profeta mostra una via, apre una possibilità, vede l’azione di Dio laddove tutti non sanno scorgere altro che delusione e fallimento. Il momento di cui si parla infatti non è considerato secondo l’ottica puramente mondana, ma alla luce della parola di Dio. Altri testi profetici mostrano un movimento opposto: mentre tutti sono sicuri del proprio potere, del proprio successo, il profeta vede i segni della disgregazione e della catastrofe imminente. La vera profezia dunque si discosta sia dalla propaganda trionfalistica, sia dal crollo emotivo di chi si sente perduto. I veri profeti, lo ricorda anche Gesù, furono sempre contestati: sia quando criticavano l’arroganza fallace, sia quando prospettavano la speranza nel nome di Dio.
 
Testimone coraggioso
Nel presente anno liturgico non si ascolterà il vangelo della seconda domenica di Avvento, per cui verrà a mancare il primo pannello del dittico riguardante Giovanni Battista. Resta il vangelo della terza domenica, che si presenta come una retrospettiva, una riflessione generale sul suo ruolo, messo a confronto con il Regno di Dio annunciato da Gesù.
Un elemento tuttavia è presentato con chiarezza: Giovanni è in carcere, arrestato per la sua lucida coerenza nel condannare il peccato del re: il suo matrimonio illegittimo. Giovanni osa criticare la libertà sessuale del re. Questo aspetto del suo messaggio risulterebbe scomodo anche oggi; ma conferma quanto si diceva sopra: che il vero profeta si trova sempre in posizione precaria, difficile. Proprio l’ingiusta, anche se prevedibile, persecuzione è il punto di partenza della domanda di Giovanni, della preghiera che egli rivolge a Gesù. Esso è anche il dubbio che coinvolge noi oggi: perché il malvagio trionfa? Fino a quando la prepotenza avrà comunque il sopravvento? La venuta di Gesù non doveva porre rimedio a tutto questo?
 
Ponte tra l’Antico e il Nuovo Testamento
L’interrogativo del Battista si ricollega dunque alle grandi suppliche dell’Antico Testamento, condensa tutta l’attesa, la speranza che attraversa il popolo di Israele, dai Patriarchi fino al ritorno dall’Esilio. Quando si compiranno le promesse di Dio? E come? Giovanni è il ponte tra l’Antico e il Nuovo Testamento non solo perché battezza e presenta il Cristo, ma più ancora perché incarna, con la sua vita e le sue parole, la grande invocazione di giustizia e di pace che sale dalla parte migliore del popolo di Israele, quella che si conserva costantemente fedele a Dio.
 
Il compimento imprevedibile
Gesù non libera il Battista dal carcere. Sarebbe stata probabilmente la risposta attesa, se non da lui, almeno dai suoi messaggeri. Gesù non si mette a capo di una rivolta contro Erode o contro i romani. A ciò potremmo aggiungere un ulteriore motivo di delusione, che ogni ascoltatore attuale del Vangelo ben conosce: anche Gesù subirà la stessa sorte di Giovanni, una sorte simile a quella di tutti gli altri profeti. Il compimento dunque non segue la linea della rivalsa o del trionfo militare. Ma nella risposta di Gesù traspare un segno che riguarda anche il Battista, e tutti coloro che soffrono come lui.
 
L’attenzione per i poveri
Il Regno è arrivato per i poveri. L’azione di Gesù non si interessa di fatti in primo luogo militari, o politici, o economici, ma si rivolge innanzitutto a sanare le ferite dei poveri. Il miracolo che avviene per primo non è la sconfitta dei potenti, ma l’annuncio agli ultimi, che divengono i primi: «Ai poveri è annunciata la Buona notizia». La risposta si conclude con una beatitudine: fin da subito, chi accoglie l’annuncio, chi non si scandalizza di Gesù, comincia ad entrare nella gioia del Regno.
 
Il più grande tra i nati di donna
Il brano si conclude con un elogio del Battista. Gesù interroga le folle sul mistero della sua persona, con una serie di domande che ne mettono in evidenza il carattere straordinario e sorprendente. Come è possibile che Giovanni abbia avuto un simile seguito? Egli non era una “canna agitata dal vento”, uno che segue le mode e le convenienze dell’istante effimero. Così capita a molti personaggi mediatici dei nostri giorni, che incarnano per un breve lasso di tempo una moda, una tendenza, e poi svaniscono nel nulla. Giovanni non era neppure un potente, uno dei grandi della storia, che “abitano nei palazzi del re”. Gesù sa interpretare la vicenda di Giovanni meglio ancora di Giovanni stesso: il profeta disarmato, che attira l’interesse più dei re, più dei loro cortigiani, è evidentemente una prefigurazione del Regno di Dio, con la sua forza di rovesciamento.
Ma la realtà del Regno è ancora più radicale: davvero gli ultimi sono i primi, e il più piccolo del Regno è «più grande» del Battista. Ciò che viene sconvolto sono le stesse categorie di “grande” e “piccolo”: nel Regno di Dio vale solo l’adesione alla sua grazia e alla sua carità.
 
 
Per gli educatori:

l’esperienza dell'attesa dubbiosa
  
Il risultato mancante

A volte l’educatore si trova di fronte ad attese molto lunghe, senza poter vedere i risultati sperati. Uno dei nodi più drammatici è la lunghezza dei processi formativi: l’adesione di fede può richiedere un attimo, entrare davvero con consapevolezza nel progetto di Dio può richiedere anni. Ci vuole tempo non solo per accompagnare la crescita spirituale di un credente che giunge alla maturità, ma anche per formare persone responsabili, che possano impegnarsi a tutti i livelli per l’evangelizzazione e la crescita della Chiesa.
Vale davvero la pena di crescere nel Regno di Dio, che sembra non arrivare mai? E vale davvero la pena affrontare i lunghi percorsi di preparazione che portano a diventare discepoli, corresponsabili, partecipi della missione di Cristo e della Chiesa? Soprattutto per chi si impegna nell’evangelizzazione diventa possibile rispecchiarsi nella domanda del Battista: che cosa, chi occorre aspettare?
 
La costanza educativa e autoeducativa
Si potrebbe dare una risposta puramente tattica, attendistica. La risposta di Gesù riguarda invece un aspetto sostanziale: il modo stesso di concepire il Regno di Dio. Il problema non è tanto il ritardo, ma il modo con cui il Regno si presenta. Il Regno è già arrivato, ma non come il Battista si aspetta.
Per l’educatore dunque si pone una duplice sfida: riconoscere i tempi del Regno, la sua qualità specifica e il suo modo di manifestarsi nella storia. Al riguardo, è preziosa la riflessione della seconda lettura sulla costanza: il paragone con l’attività dell’agricoltore permette di vedere già in azione il dinamismo del Regno, che è già seminato, che sta già crescendo; una volta che il lavoro preliminare è stato fatto, non resta che attendere, con costanza, la pioggia, senza lasciarsi abbattere.
 
Oltre la profezia
Giovanni è un profeta coraggioso e certamente va imitato in questo: ma per gli educatori del nostro tempo, che vogliano essere anche evangelizzatori, la qualifica profetica non è sufficiente. Gesù non ci abilita soltanto a denunciare la malattia, ma egli per primo comincia a guarirla.
Noi riceviamo da Dio la forza stessa del suo Spirito, attraverso la liturgia e i sacramenti, che permette di andare oltre la denuncia, per introdurre alla realtà stessa del Regno.
 
Il carisma profetico, ricevuto nel Battesimo, si integra con quello sacerdotale e regale, che attraverso la carità attinta da Dio e vissuta nell’esistenza quotidiana permettono di entrare effettivamente nel Regno, in attesa del suo compimento.
Alla fretta di vedere i risultati, si sostituisce l’attesa paziente e la capacità di riconoscere i frutti già operanti del Regno, che fioriscono accanto alle nostre croci. Il Battista non fu liberato dalla sua persecuzione, e neppure noi lo saremo: ma potremo sopportarla nella gioia di vedere che nonostante tutto il Regno sta già fiorendo.