UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Ciò che è invecchiato si rinnova»

Dopo l’attesa silenziosa la Chiesa si appresta a vivere la Veglia pasquale, madre di tutte le veglie cristiane. Se comprendessimo in profondità il carattere “materno” e sorgivo di questa notte e di questa celebrazione, forse investiremmo maggiori energie nel prepararla e nel celebrarla, riservandole il posto che giustamente le spetta. In tal modo verrebbe relativizzato […]
14 Febbraio 2012
Dopo l’attesa silenziosa la Chiesa si appresta a vivere la Veglia pasquale, madre di tutte le veglie cristiane. Se comprendessimo in profondità il carattere “materno” e sorgivo di questa notte e di questa celebrazione, forse investiremmo maggiori energie nel prepararla e nel celebrarla, riservandole il posto che giustamente le spetta. In tal modo verrebbe relativizzato ogni timore della notte e la notte stessa diventerebbe linguaggio per dire la fede: celebriamo di notte perché Dio ha vegliato per il suo popolo, Cristo ha sconfitto le tenebre della morte e noi vegliamo per vincere il sonno del peccato. Questa non è solamente la notte che celebra la risurrezione del Signore, ma soprattutto è la notte della rinascita, notte di luce e di vita nella quale si celebrano i sacramenti che “fanno” i cristiani: Battesimo, Cresima ed Eucaristia. Certamente la Veglia pasquale non è sostenuta dall’apporto sentimentale e consumistico che talora contraddistingue la messa della notte di Natale, ma appartiene innanzitutto a coloro che ogni domenica si radunano per celebrare la Pasqua settimanale. Per questo deve diventare il cuore, la sorgente della vita cristiana e la forma della pastorale, ad essa ci si deve indirizzare fin dall’inizio dell’anno liturgico e deve essere preparata fin dall’inizio della Quaresima.
 
I passaggi calmi e graduali dalla soglia delicata e solenne del lucernario, all’ascolto disteso delle meraviglie promesse e attuate da Dio per il suo popolo, alla liturgia battesimale che realizza il passaggio dalla morte alla vita secondo la prassi iniziatica della Chiesa, e l’approdo all’Eucaristia pasquale, conducono il fedele a “partecipare” all’evento celebrato: ciò che viene celebrato del Cristo, vincitore della morte, viene realizzato nel cristiano chiamato a passare dalla morte alla vita. Davvero si realizza l’alleanza nuova predetta nei tempi antichi (cfr. Ger 31,31 e Ez 36,16-28) e cantata in modo impareggiabile dall’eucologia: «Tutto il mondo veda e riconosca (experiatur) che ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova e tutto ritorna alla sua integrità per mezzo del Cristo, che è principio di tutte le cose» (orazione dopo la VII lettura della Veglia).
 
Proprio per questo carattere di “modello” della vita credente e di ogni celebrazione, la Veglia pasquale esige lo sforzo di collocarla al centro delle preoccupazioni pastorali. Ripartire da questa Veglia forse può voler dire rivedere molte nostre posizioni, riconsiderare ciò che è prioritario nella nostra azione, passare dalla logica del minimo necessario, garantito sempre e comunque, al massimo gratuito tipico della liturgia. Non sarebbe corretto, perciò, lasciare la cura e i benefici di questa celebrazione a gruppi, anche particolarmente qualificati, perché essa è celebrazione del popolo di Dio e tale deve rimanere, «azione dell’unico Cristo insieme con la sua unica Chiesa e perciò essenzialmente aperta a tutti coloro che appartengono a questa sua Chiesa» (Benedetto XVI, 20 gennaio 2012).
 
Con la Veglia si entra nel giorno di Pasqua, in cui la Chiesa, stupita e lieta, intesse il dialogo con Maria di Magdala: «Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?». E Maria continua ad annunciare nell’“oggi” della celebrazione: «Sepulcrum Christi viventis et gloriam vidi resurgentis». Questo giorno, dove è possibile, sia coronato dalla celebrazione dei Vespri battesimali: il movimento processionale al fonte battesimale è immagine del popolo della Prima alleanza che, nel giorno successivo alla notte della liberazione, tornò sul lido del mare per lodare il Signore (cfr. Es 15 e Sal 105).
 
Celebrare degnamente la Settimana santa e soprattutto il Triduo pasquale significa davvero “fare” Pasqua, lasciando agire e parlare il linguaggio simbolico e rituale della grande tradizione liturgica. La scommessa pastorale consiste nell’investire tempo ed energie per entrare pienamente nella celebrazione del mistero pasquale. Ciò significa saper vivere ed educare a vivere i ritmi del tempo, lasciarsi stupire dall’alternanza tra buio e luce e tra parola e silenzio, gustare i tanti fenomeni simbolici di assenza e presenza, ostensione e nascondimento, pasto e digiuno, morte e vita, per fare in modo che siano i ritmi della liturgia a educare e plasmare singoli e comunità. Questo è il segreto di una liturgia che coinvolge tutto l’uomo nella partecipazione piena al mistero di Cristo Salvatore, morto e risorto.