UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Lavoro e festa

Contributo dell'Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro Famiglia, lavoro e festa: tre doni di Dio per costruire società dal volto umano Nelle prime pagine della Bibbia (cfr Gen 1-2) famiglia, lavoro e giorno festivo sono benedizioni che Dio ci dona per aiutarci a vivere un’esistenza autenticamente umana. Infatti, in queste pagine incontriamo Dio che […]
5 Novembre 2012
Contributo dell'Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro
 
Famiglia, lavoro e festa: tre doni di Dio per costruire società dal volto umano
 
Nelle prime pagine della Bibbia (cfr Gen 1-2) famiglia, lavoro e giorno festivo sono benedizioni che Dio ci dona per aiutarci a vivere un’esistenza autenticamente umana. Infatti, in queste pagine incontriamo Dio che opera, lavora: «in principio Dio creò il cielo e la terra» (1,1). Dio che crea l’uomo e la donna a sua immagine e che benedice la prima famiglia: «siate fecondi e moltiplicatevi» (1,28). Dio che fa festa e si riposa: «Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando» (2,3); e invita l’uomo e la donna a gioire con lui: «il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato» (2,8).
Tuttavia, se proseguiamo nella lettura, constatiamo come il peccato dell’uomo e della donna (cfr Gen 3) giunge a corrompere queste tre doni: la famiglia, il lavoro e la festa. Dopo il peccato, l’uomo e la donna non sono più gli stessi di prima, ogni cosa perde lo splendore iniziale: in riferimento a sé stessi, «conobbero di essere nudi» (3,7); nei confronti di Dio, si nascondono «dalla presenza del Signore Dio» (3,8); nelle relazioni fra loro e gli animali, «la donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero» (3,12), «il serpente mi ha ingannata» (3,13); a riguardo della maternità, «moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze» (3,16); verso il lavoro, «con il sudore del tuo volto mangerai il pane» (3,19).
Una prima considerazione: se perdiamo il rapporto con Dio, tutto attorno a noi crolla! I rapporti con noi stessi, con il prossimo, con l’intero creato.
Come vivere bene la nostra fede ogni giorno per essere all’altezza della nostra vocazione? Occorre nutrirsi delle parole di Gesù, contenute nei Vangeli. Esse costituiscono il nostro paradigma quando parliamo di sacralità della persona, della sua naturale socievolezza e relazionalità, della carità e della verità, della giustizia e della pace, del valore e del significato del lavoro, della famiglia e della vita, dell’economia e della politica, della custodia del creato, della destinazione universale dei beni, del primato del regno di Dio rispetto a ogni realtà terrena. Gesù ha difeso ogni persona (malati, lebbrosi, adultere, pubblicani, …); ha costruito una comunità di affetti, nella famiglia e con gli amici (non servi); ha predicato l’amore e il perdono, pur nel rigore dell’assunzione delle proprie responsabilità e di un sincero pentimento; ha lavorato e ha provato la fatica e la soddisfazione; ha condiviso i suoi averi, ha nutrito gratuitamente, non ha mai tolto alcunché ad alcuno, ha diffuso fiducia e speranza e ha reso tutti fratelli di un unico Padre.
Guardiamo alla Sacra Famiglia di Nazaret come modello da seguire nella vita quotidiana per proporre una vita sobria, responsabile, dove ognuno aiuta l’altro e dove la famiglia e il lavoro sono profondamente uniti nei tempi del silenzio, dell’operosità, del riposo e della santità.
Nazaret ci ricorda che «con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo»1. Puntiamo quindi a educare al lavoro dignitoso, a promuovere la famiglia e la vita, ad armonizzare i tempi della famiglia e del lavoro nella festa e ad essere un cuore solo e un’anima sola.
Gesù ci ricorda: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente» (Mt 5,13). Se il cristiano non è sale in ogni momento della sua vita, come potrà essere riconosciuto dal Signore quale «servo buono e fedele» (Mt 25,21)? Siamo il sale della terra perché abbiamo accolto nella nostra vita l’annuncio che «Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi» (Ef 5,2). Per questo siamo chiamati ogni giorno anzitutto con la testimonianza cristiana a dare sapore a ciò che viviamo, a offrire la sapienza (il sapore) del Vangelo alle persone che il Signore ci dona di incontrare nei diversi luoghi della nostra vita. Se il cristiano è sale, le persone che gli stanno attorno godono della bellezza e della verità del messaggio evangelico.
Il Santo Padre Benedetto XVI nella lettera apostolica Porta Fidei, con la quale indice l’Anno della fede, ci sollecita: «Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,142. Come persone e come comunità possiamo ripartire dal nutrirci della Parola di Dio e del Pane della vita per essere autentici testimoni di Gesù, speranza del mondo. Occorre riscoprire la freschezza della Parola di vita eterna e il dono sempre nuovo del Pane di eterna misericordia per vivere un autentico Anno della fede. Iniziamo quest’Anno particolare con l’umile confessione dei nostri peccati per accogliere i doni del regno di Dio: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). L’Anno della fede è dono di grazia divina da vivere in stato di continua e profonda conversione come singoli e come comunitàaffinché porti frutti di rinnovamento e ci renda capaci di dare ragione della propria fede. Ritorniamo ad annunciare il Vangelo, a vivere in profondità il nostro personale rapporto con Gesù Eucaristia per offrire «un’esemplare testimonianza di vita, radicata in Cristo e vissuta nelle realtà temporali: famiglia; impegno professionale nell’ambito del lavoro, della cultura, della scienza e della ricerca; esercizio delle responsabilità sociali, economiche, politiche. Tutte le realtà umane secolari, personali e sociali, ambienti e situazioni storiche, strutture e istituzioni, sono il luogo proprio del vivere e dell’operare dei cristiani laici. Queste realtà sono destinatarie dell’amore di Dio»3.
 
 
Famiglia, lavoro e festa sono tre doni di Dio, «tre dimensioni della nostra esistenza che devono trovare un armonico equilibrio.
Armonizzare i tempi del lavoro e le esigenze della famiglia, la professione e la paternità e la maternità, il lavoro e la festa, è importante per costruire società dal volto umano»4.

 
 
1 Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, n. 22.
2 Benedetto XVI, Lettera apostolica Porta Fidei, 11 ottobre 2011, n. 3.
3 Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 543.
4 Benedetto XVI, Omelia al VII Incontro Mondiale delle Famiglie, 3 giugno 2012.


 
 
 
Contributo dell'Ufficio Nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport
 
Abbiamo smarrito la festa: si è persa nella ritualità seriale, mercificata, standardizzata, spettacolarizzata. Lo percepiamo nelle passioni senza passione e nelle parole senza senso. Divenuta  preda dell’effimero, (che rende fluido, liquido, tutto ciò che era una volta solido) si è dissolta (o forse dissoluta). Che si era secolarizzata lo sapevamo da tempo: privata di un riferimento religioso, quindi snaturata, profanata, si è dispersa, diventa anonima, impersonale, finta. Spesso dissipata. Eppure il desiderio di festa è insopprimibile: resta sempre radicato nel cuore dell’uomo. La spensieratezza della festa, infatti, non significa negazione di riflessione, di serietà, di armonia, di trascendenza. La stessa secolarizzazione ne rafforza il bisogno per rompere gli schemi e gli orizzonti di una vita privata del “divino”. C’è grande nostalgia di festa. L’Avvento è un annuncio di gioia, un annuncio di festa. Una festa da attendere, una festa da preparare, una festa da vivere. L’attesa fa nascere in noi una tensione positiva. Chi attende non uccide il tempo nella noia e nel vuoto. Chi attende pensa ad una meta e la meta dell’attesa è la festa della nostra umanizzazione. L’attesa allarga il cuore, amplia gli orizzonti della nostra esistenza. Ci rende liberi dentro. Anselm Grun ci ricorda che la festa, il tempo libero, l’otium “ è capacità di fare silenzio e di tacere. Soltanto chi tace riesce ad ascoltare. Nell’ascolto tendo l’orecchio per entrare nel mistero delle cose. Ascolta le persone. Guarda con meraviglia il mistero dell’essere. Ci si accorge della dimensione più profonda delle cose. E il riposo è segnato dalla serenità” (cfr. A.

Grun, Elogio dell’otium. Dignità del tempo libero, Queriniana). Ogni festa è segnata dalla veglia, dall’attesa, dalla preparazione. Senza frenesie.

 
 
Atteggiamenti di vigilanza
 
Presi dall’ansia e dalla frenesia della “mercificazione” della festa perché non vivere in questo tempo atteggiamenti che qualificano la festa come tale: al posto della frenesia, la lentezza, al posto di banalità e superficialità la profondità, al posto del correre affannati il fermarsi e stupire?