UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Nella notte in cui fu tradito»

Terminato il tempo dei quaranta giorni, le comunità cristiane si accostano alla fonte e culmine del loro credere e del loro celebrare: il Triduo del Cristo, crocifisso, sepolto e risorto, introdotto e aperto dalla messa vespertina in Cena Domini. La celebrazione serale del Giovedì è il prologo del grande mistero di donazione di Cristo, inizio […]
14 Febbraio 2012
Terminato il tempo dei quaranta giorni, le comunità cristiane si accostano alla fonte e culmine del loro credere e del loro celebrare: il Triduo del Cristo, crocifisso, sepolto e risorto, introdotto e aperto dalla messa vespertina in Cena Domini. La celebrazione serale del Giovedì è il prologo del grande mistero di donazione di Cristo, inizio del solenne Triduo pasquale. Il Santo Padre Benedetto XVI si fa autorevole mistagogo di questa celebrazione teologicamente e spiritualmente molto densa.
 
 «Qui, pridie quam pro nostra omniumque salute pateretur, hoc est hodie, accepit panem: così diremo oggi nel Canone della Santa Messa. “Hoc est hodie” – la Liturgia del Giovedì Santo inserisce nel testo della preghiera la parola “oggi”, sottolineando con ciò la dignità particolare di questa giornata. È stato “oggi” che Egli l’ha fatto: per sempre ha donato se stesso a noi nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Questo “oggi” è anzitutto il memoriale della Pasqua di allora. Tuttavia è di più. Con il Canone entriamo in questo “oggi”. Il nostro oggi viene a contatto con il suo oggi. Egli fa questo adesso. Con la parola “oggi”, la Liturgia della Chiesa vuole indurci a porre grande attenzione interiore al mistero di questa giornata, alle parole in cui esso si esprime. (…) Nel Cenacolo, Cristo dona ai discepoli il suo Corpo e il suo Sangue, cioè se stesso nella totalità della sua persona. Ma può farlo? È ancora fisicamente presente in mezzo a loro, sta di fronte a loro! La risposta è: in quell’ora Gesù realizza ciò che aveva annunciato precedentemente nel discorso sul Buon Pastore: “Nessuno mi toglie la mia vita: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo…” (Gv 10,18). Nessuno può toglierGli la vita: Egli la dà per libera decisione. In quell’ora anticipa la crocifissione e la risurrezione. Ciò che là si realizzerà, per così dire, fisicamente in Lui, Egli lo compie già in anticipo nella libertà del suo amore. Egli dona la sua vita e la riprende nella risurrezione per poterla condividere per sempre» Benedetto XVI, Omelia della Santa Messa nella Cena del Signore, 9 aprile 2009.
 
Pertanto, la celebrazione in Cena Domini mantiene vivo il legame tra prassi eucaristica delle comunità e mistero pasquale sorgivo e fondante. È proprio la “normalità” di questa celebrazione che domanda uno stile celebrativo calmo e solenne per rimandare a “quella” Cena e, al contempo, la sua peculiarità aiuta a riannodare i testi biblici proposti nella liturgia della Parola attorno al tema dell’alleanza: il memoriale dell’alleanza di Dio con il suo popolo che ora si fa nuova nel Sangue di Cristo consumato con il Corpo nella Cena e si prolunga nel servizio e nell’accoglienza fraterna dei discepoli.
L’alleanza che Cristo attua con la sua morte viene celebrata e resa presente ogni qual volta i cristiani mangiano di quel pane e bevono a quel calice, perché ogni Eucaristia della Chiesa è memoriale dei grandi eventi pasquali, alleanza sempre nuova e accessibile, profezia del Regno.