UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Per l'Anno della fede: la gioia del credere

La gioia della condivisione La fede conduce al superamento della tentazione di centrarsi su se stessi e apre alla condivisione e alla reciprocità. L’incontro di Maria ed Elisabetta non è solo condivisione di una gioia umana, servizio, familiarità: tutte queste dimensioni sono aperte all’assoluto, alla percezione del progetto di Dio.  Dal Catechismo della Chiesa cattolica [148] La Vergine […]
8 Novembre 2012
La gioia della condivisione
 
La fede conduce al superamento della tentazione di centrarsi su se stessi e apre alla condivisione e alla reciprocità. L’incontro di Maria ed Elisabetta non è solo condivisione di una gioia umana, servizio, familiarità: tutte queste dimensioni sono aperte all’assoluto, alla percezione del progetto di Dio.
 
 
Dal Catechismo della Chiesa cattolica
 
[148] La Vergine Maria realizza nel modo più perfetto l’obbedienza della fede. Nella fede, Maria accolse l’annuncio e la promessa a lei portati dall’angelo Gabriele, credendo che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37), e dando il proprio consenso: «Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Elisabetta la salutò così: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45). Per questa fede tutte le generazioni la chiameranno beata.
[149] Durante tutta la vita, e fino all’ultima prova, quando Gesù, suo Figlio, morì sulla croce, la sua fede non ha mai vacillato. Maria non ha cessato di credere «nell’adempimento» della Parola di Dio. Ecco perché la Chiesa venera in Maria la più pura realizzazione della fede.
 
 
Una scena chiave
 
Maria porta il suo saluto ad Elisabetta, ed ella riconosce pienamente il progetto di Dio su Maria; le due donne reciprocamente si annunciano il Vangelo, ed è questo che moltiplica la gioia. Annotiamo che tutto avviene nella massima povertà e semplicità, senza bisogno di scambi visibili di regali: è sufficiente la bellezza del salutarsi e riconoscersi nell’atrio della casa. Qui sta il segreto della vera ricchezza e della vera letizia.
 
 
Un segreto dimenticato
 
Forse conviene davvero chiedersi perché i credenti abbiano perso il senso della condivisione profonda nella fede. Alcuni lo inseguono nel chiuso di gruppi, esperienze, luoghi ritenuti particolarmente favorevoli. Di per sé non c’è nulla di male in tutto questo: anzi, il vangelo stesso ci invita più volte ad uscire dalla routine, ad abbandonare le paludi della pigrizia, a seguire Gesù sulla strada dove lui ci conduce e dove lui si fa incontrare. Il problema nasce però quando tutto questo non si traduce in un ritorno nella quotidianità: quando la famiglia non diventa il santuario di una fede possibile, quando la parrocchia perde valore, quando tra gruppi e movimenti si riproducono le stesse contrapposizioni e le stesse ostilità che valgono a livello sociale.
 
 
Il daltonismo fraterno
 
Nel Vangelo lo si ricorda spesso: “il più piccolo” dei fratelli di Gesù è importante. Anche l’amico dalla fede debole. Anche il marito o la moglie o i figli o i genitori che fanno più fatica a pregare, che non appartengono al mio movimento; anche lo sconosciuto che frequenta la stessa parrocchia, e che ha idee diametralmente opposte alle mie. Avviene a volte come una sorta di daltonismo: quel fenomeno per cui una persona, pur avendo una vista ottima, fa fatica a distinguere alcuni colori. Noi rischiamo di perdere di vista il colore della fraternità che ci lega in Cristo.
 
 
Fare tesoro delle esperienze
 
Le esperienze straordinarie non sono da condannare, anzi sono molto importanti. Esse possono aiutare a risvegliare la percezione della fraternità, ad abbattere i confini di una fede troppo privatistica, quale spesso si vive. Occorre però far tesoro di esse: mantenere ciò che si è vissuto nel momento eccezionale, e viverlo nella quotidianità. Non è essenziale essere in tanti, lo ripetiamo: Maria ed Elisabetta erano in due.
Una fede senza confini
Quanto diciamo esclude ogni settarismo, non solo all’interno della comunità cristiana, ma anche al suo esterno: proprio la conquista faticosa della fraternità in Cristo rende possibile una fraternità più universale, aperta all’ospitalità e alla condivisione con ogni persona: perché ogni uomo e donna del mondo può essere chiamato a ricevere la figliolanza divina.