UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Per l'Anno della fede:
la gioia del credere

La gioia nella possibilità di sperare La gioia del credere, intesa come possibilità di speranza. Non solo la speranza a breve termine (progettare, decidere, costruire passo a passo), ma anche e soprattutto un orizzonte di speranza definitivo, che sorregge pienamente il nostro esistere.   Dal Catechismo della Chiesa cattolica [1043] Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l’umanità e il […]
31 Ottobre 2012
La gioia nella possibilità di sperare
 
La gioia del credere, intesa come possibilità di speranza. Non solo la speranza a breve termine (progettare, decidere, costruire passo a passo), ma anche e soprattutto un orizzonte di speranza definitivo, che sorregge pienamente il nostro esistere.
 
 

Dal Catechismo della Chiesa cattolica
 

[1043] Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l’umanità e il mondo, dalla Sacra Scrittura è definito con l’espressione «i nuovi cieli e la terra nuova» (2Pt 3,13). Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di «ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10).

[1048] «Ignoriamo il tempo e il modo in cui avranno fine la terra e l’umanità, e non sappiamo il modo in cui sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo però dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salagono dal cuore degli uomini» (Gaudium et Spes, 39).
[1049] «Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce il corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Dio, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale sviluppo è di grande importanza».
 
 
Che cosa aspettiamo? Che cosa speriamo?
 
È lo stesso ristorante: stessi tavoli, stesso arredamento, stesso cuoco e stessi camerieri da quasi un decennio. Eppure i camerieri, origliando ciò che dicono i clienti (prima o poi tutti si lasciano andare, e non si accorgono di essere ascoltati), sentono sempre cose diverse.
«Qui si mangia da schifo», sbotta lo spocchioso, abituato alle raffinatezze; «Mai mangiato meglio», dice chi, dopo mesi di stenti, riceve un invito da un amico facoltoso; «Ottimo», dice lo straniero, abituato a surgelati, microonde e fast food; «Ma la ricetta della nonna era migliore» sentenzia il tradizionalista.
C’è anche chi dice: «Non si è mangiato male, ma se ti fidi la prossima volta ti porto in un posto ancora migliore».
È lo stesso ristorante: cambiano solo le abitudini, i gusti, il retroterra dei clienti.
La parola di Dio non sempre trasforma magicamente il gran ristorante del mondo: ma se la ascoltiamo trasforma il nostro gusto, il nostro retroterra, le attese con cui ci affacciamo su di esso. Soprattutto le attese sono importanti: e la speranza cristiana agisce su ciò che ci attendiamo dalla vita, trasformando il nostro orizzonte: da un lato ci ricorda tutto il bello da apprezzare, dall’altro ci mostra un “più bello”, un “meglio”, un futuro da attendere e da tener presente. Si tratta di una duplice iniezione di positività, che cancella lo sguardo negativo sulla realtà, e nello stesso tempo prepara al suo compimento. Dio ci sta “preparando un posto”, siamo “invitati al banchetto di nozze”, dove lo sposo stesso “passerà a servire”. Vedremo al termine l’importanza di questa immagine.
 
 
La speranza a breve termine
 
La percezione del futuro dunque accompagna costantemente ogni nostra azione. E pur invitandoci a vivere il presente, la liturgia e la Scrittura invitano a coltivare una prospettiva sul futuro, a vivere nell’orizzonte della speranza. Il più delle volte però l’attesa è vissuta a breve termine, in vista di un successo, in vista di un risultato. Il giovane lavora per comprarsi la moto; poi fa il mutuo per comprarsi la casa; poi si dedica all’educazione dei figli. La maggior parte dei progetti chiama in causa minimamente la speranza: è piuttosto frutto di calcolo, di abilità organizzativa, di impegno realizzativo. Gli “affanni della vita” di cui parla il discorso escatologico in Luca sono proprio il frutto della rinuncia totale a vivere il momento presente, a lasciarsi provocare dai segnali della storia, per rifugiarsi in ciò che riesce possibile controllare, verificare, pianificare.
Vivere solamente in vista di un risultato è la grande tentazione del nostro tempo, che coinvolge sia gli individui sia la società. Sempre più difficile è peraltro costruire da soli qualcosa di importante: le grandi realizzazioni del nostro tempo sono frutto sempre più di un lavoro di squadra, di un ammirevole coordinamento di forze e di competenze; ma mentre lo contempliamo con gli occhi della fede, e ci rallegriamo per la grandiosità dei risultati, siamo anche vigili sul fatto che alla maggior parte dei partecipanti sfugge il senso profondo, generale, di ciò che costruisce. E che l’eventuale profitto torni a vantaggio di pochi.
 
 
La speranza ad ampio respiro
 
Ringraziamo dunque il Signore, che ci sottrae alla catena di progettazioni in-sensate (non perché non bene articolate, non ben pianificate, ma perché limitate nella loro motivazione) e ci introduce nel grande progetto del suo Regno. Dall’evangelista impariamo a contemplare la storia nel suo insieme: il passato, il presente e il futuro; sia per il mondo, sia per la nostra vita. La fede dunque ci dona un orizzonte di speranza, e da questo orizzonte di speranza scaturisce l’autentica gioia. Possiamo infatti essere riconoscenti per il passato, dando il giusto valore a chi ci ha preceduto. E siamo sottratti all’ansia di chi è senza radici, costretto a fabbricarsi di volta in volta identità artificiali. Possiamo vivere e apprezzare il presente, con tutto ciò che di buono esso offre. E siamo sottratti al pessimismo distruttivo, che porta a vedere solo il male, o all’esaltazione egoistica di chi si rinchiude in un cieco, momentaneo, benessere. Possiamo infine guardare al futuro: senza diventare prigionieri di progetti più o meno realizzabili. Perché al di là di ogni realizzazione possibile intravvediamo il compimento del Regno. Neppure l’ombra della morte può intaccare a fondo la letizia di chi crede e spera nel Signore Risorto: a partire da Cristo infatti essa è divenuta un passaggio, un accesso all’infinita carità del Padre, nella quale confidiamo di poter dimorare.
 
 
Vivere da invitati
 
Tra le parabole del Regno futuro troviamo una splendida immagine: quella dell’invito. Gesù dice che siamo come gli invitati al banchetto di nozze. Essi in qualche modo già pregustano la gioia delle nozze, la bellezza del banchetto; e si preparano a partecipare. E tuttavia essi hanno bisogno di credere e di sperare. Quell’invito richiede una preparazione, la rinuncia ad altri appuntamenti, la disponibilità ad aspettare per un certo tempo, che appare inutile, improduttivo. Ma la vita non è solo produzione: proprio i tempi lunghi sono i tempi di chi ama, di chi sa dar valore a ciò che lo merita.
Stiamo rispondendo all’invito del Signore? Viviamo la gioia dell’attesa?