Rinfrancate i vostri cuori. Uomo vecchio crocifisso con Lui (Cf. Rm 6,6) - Domeniche - 3 aprile - Venerdì Santo 

3 aprile   versione testuale

Venerdì Santo


Agnello mistico, particolare della decorazione a rilievo del Sarcofago di Valentiniano III, marmo, braccio sinistro del mausoleo di Galla Placidia, Ravenna, V secolo.

L’azione liturgica del Venerdì Santo è dominata dalla croce che schiude lo spazio al silenzio e alla contemplazione dell’amore con cui Dio ha amato l’uomo tanto da fargli dono del suo Figlio. La contemplazione del mistero di Cristo Gesù che in obbedienza al Padre ha svuotato se stesso, assumendo la condizione di servo, sino alla morte di croce (cf. Fil 2,6-17), ispira alla Chiesa il canto di un antico inno alla Croce, “mistero di morte di gloria…albero fecondo e glorioso…bilancia del grande riscatto” (Inno dei vespri del Sabato Santo), albero della vita e simbolo del mondo nuovo, legno in cui cambia il destino dell’umanità: «Tu fosti l’albero degno di reggere il nostro riscatto, 
un porto prepari per noi, come arca di salvezza del mondo, 
del mondo cosparso di sangue versato dal Corpo di Cristo». Questo giorno santo, in cui la Chiesa non celebra l’Eucarestia e in cui il suo sguardo si concentra sul legno della croce, è dominato dal silenzio che si fa ascolto adorante. Il Venerdì Santo, infatti, essa celebra l’ora di Gesù, quell’ora sempre preparata, più volte evocata da Gesù nella sua predicazione e nelle sue azioni, nel suo cammino verso Gerusalemme, lì dove adesso porta a compimento l’opera del Padre. Il Venerdì Santo si condensa proprio in quell’ora in cui si realizza il passaggio di Gesù da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1). «L’ora della straziante sofferenza del Figlio di Dio, una sofferenza che, a venti secoli di distanza, continua a commuoverci intimamente e ad interpellarci. Il Figlio di Dio è giunto a quest’ora (cf. Gv 12,27) proprio per donare la vita a vantaggio dei fratelli. È l’ora dell’offerta - l’ora della rivelazione dell’infinito amore» (Giovanni Paolo II). «Quel che perdesti, lui ha trovato; / incontrerai da lui quello che amasti: / eternamente ti sarà legato / ciò che la sua mano ha restituito», scrive Novalis nei suoi Inni alla notte.
È ancora una volta Ravenna a riservarci un’opera nella quale il mistero della redenzione operata da Cristo si annuncia e si rende visibile. Si tratta della decorazione di uno dei sarcofagi custoditi nel Mausoleo di Galla Placidia, e precisamente di quello riservato al figlio che la nobildonna ebbe da Costanzo III, Valentiniano III. È posto nel braccio sinistro dell’edificio e presenta al centro il bassorilievo raffigurante l’Agnello mistico, all’interno di un’elegante edicola dominata dalla presenza della croce che si erge al centro e sul cui asse orizzontale sono poggiate due colombe. Sia l’Agnello che la croce poggiano a loro volta su di una piccola altura che viene identificata con il monte Paradiso. L’Agnello mistico è un chiaro rimando sia al sacrificio della croce sia al compimento escatologico e alla pienezza di tutte le cose. La sua presenza in un sarcofago dice, insieme, il mistero della morte e della vita, della fine e dell’inizio. Dice la salvezza e il suo compimento ultimo. Cristo è l’Agnello di Dio indicato dal Battista, colui che porta su di sé il peccato del mondo (cf. Gv 1,29). È lui il servo sofferente che come un agnello viene condotto al macello (cf. Is 53,7). È lui, infine, che si offre al Padre in “sacrificio di soave odore” e che entra nell’oscurità del sepolcro per liberare l’uomo dalla morte. Per questo Cristo – e con lui-in-lui ogni credente – sa che il Padre suo non lo abbandonerà nel sepolcro, né lascerà che il suo corpo subisca la corruzione, ma gli indicherà il sentiero della vita perché abbia gioia piena nella sua presenza e dolcezza senza fine alla sua destra (cf. Sal 16,10-11). Sotto la croce la Chiesa sta con Maria e pronuncia la preghiera: «Madre di chi non ha madre, sul tuo grembo / posa la testa il dolore universale / e dorme, ebbro della fine della sua fatica» (Fernando Pessoa).