UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Quarta Domenica di Pasqua

“Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato” (Atti 4,10). “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita […]
15 Febbraio 2012
“Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato” (Atti 4,10).
 
“Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore” (Gv 10,14-15).
 
“Non possono mancare nelle proposte formative la contemplazione della croce di Gesù, il confronto con le domande suscitate dalla sofferenza e dal dolore, l’esperienza dell’accompagnamento delle persone nei passaggi più difficili, la testimonianza della prossimità, così da costruire un vero e proprio cammino di educazione alla speranza” (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 54).
 
 
Spunti dalle letture
 
La Chiesa è la comunità di coloro che sono risanati da Cristo. Nel suo nome essa stessa diventa capace di risanare. Il vangelo di Giovanni ci introduce nella profondità della guarigione operata da Cristo: egli ha dato la vita per noi, buon pastore che dà la vita per le pecore. Siamo oltre un semplice risanamento: si viene addirittura introdotti nella comunione di amore che lega Gesù al Padre. L’uomo può così partecipare della vita stessa divina.
 
“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”: dal dono di Dio deriva per l’uomo la capacità di ridonare, di restituire, di mettersi al servizio dei fratelli. Il brano degli Atti ci presenta il discorso di Pietro che spiega di fronte al Sinedrio l’avvenuta guarigione del paralitico. Potremmo chiederci perché un’azione benefica venga messa sotto processo. Ma, a ben vedere, non si tratta di qualcosa di particolarmente strano. Operare il bene mette in discussione un mondo e una mentalità basati sul tornaconto. Un uomo risanato, libero, di nuovo padrone della sua vita, non sarà più sfruttabile, non sarà più controllabile. Un atto gratuito di cura mette in discussione i costi e i valori di un intero sistema sociale. Soprattutto, è il nome di Gesù a far paura: se i discepoli fossero comuni guaritori, che agiscono per il loro guadagno o per la loro gloria, si confonderebbero con la vasta schiera dei ciarlatani interessati. Se davvero esiste un “buon pastore”, che “dona la vita”, il “mercenario” non ha più il suo guadagno, e il “lupo” non può più spadroneggiare sul gregge.
 
Le immagini negative del mercenario e del lupo non vanno troppo facilmente personalizzate; esse sembrano esprimere più le forze fondamentali che si oppongono a Cristo: l’agire interessato, la sete di guadagno e la violenza brutale e oppressiva. Esse tendono a sfruttare e disperdere il gregge, e anche se concretamente agiscono per mezzo di uomini e gruppi, la lotta di Gesù appare rivolta al peccato che sfigura l’uomo e lo rende di volta in volta cinico sfruttatore, prepotente, violento, corruttore. Il Buon Pastore è colui che va in cerca di chi si è disperso, di chi è vittima del suo stesso peccato: il suo gregge è aperto anche ad altre pecore “che non provengono da questo recinto”. Di conseguenza, la comunità cristiana sarà segno del Buon Pastore che cerca e guarisce, nella misura in cui diventa segno di riconciliazione, capace di vincere il male non annientando il nemico, ma trasformandolo in amico e fratello, e opporsi ai peccatori non pretendendo di distruggerli, ma distruggendo in loro il peccato, e chiamandoli a conversione. Fare questo è fare come Gesù, ma richiede, appunto, la disponibilità a donare la vita, a lavorare in perdita, a spendersi in un’opera rieducativa che a volte appare disperata. Solo la forza della risurrezione può dare perseveranza e costanza in un’azione che non promette risultati immediati.