UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Quinta Domenica di Pasqua

“Bàrnaba prese [Saulo] con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro” (Atti 9,27-28a). “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e […]
15 Febbraio 2012
“Bàrnaba prese [Saulo] con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro” (Atti 9,27-28a).
 
“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).
 
“Promuovere un’autentica vita spirituale risponde alla richiesta, oggi diffusa, di accompagnamento personale. Si tratta di un compito delicato e importante, che richiede profonda esperienza di Dio e intensa vita interiore. In questa luce, devono essere attentamente vagliati i segni di risveglio religioso presenti nella società: essi possono rivelare l’azione dello Spirito e la ricerca di un senso che dia unità all’esistenza” (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 22).
 
 
Spunti dalle letture
 
Paolo da nemico diventa fratello. La comunità da chiusa ed ostile si apre al perdono. La prima lettura di questa domenica ci mostra un duplice versante nell’azione educativa di Dio. Lo Spirito agisce attraverso una persona, Barnaba, che si prende cura di stabilire un contatto tra colui che è stato graziato dal Risorto, e la comunità che da lui era stata impaurita e minacciata.
 
Il miracolo della conversione è difficile da credere. La paura impedisce per un certo tempo a Paolo di essere accolto nella vita della comunità. Si tratta di una sfida difficile anche per noi oggi. Molti vorrebbero o potrebbero rientrare a far parte della Chiesa; molti non hanno mai perduto un rapporto segreto o tormentato con Dio. Esiste il pericolo concreto che proprio la comunità cristiana più impegnata, più unita, più convinta diventi di fatto una barriera che impedisce il ritorno. Il perdono sincero, anche espresso dal segno sacramentale, può essere immediato, ma stabilire una relazione profonda non è automatico: serve una dedizione specifica.
 
La Chiesa nel mondo attuale può essere comunità educativa solo se affronta il nodo delicato della riconciliazione, del ritorno, del perdono, del ristabilire nella vita di fede chi si è allontanato o si è comportato da nemico. L’esempio di Barnaba ci mostra che è necessario prendersi cura, accompagnare nei fatti chi ritorna alla fede: anche la seconda lettura parla di non amare soltanto “a parole, né con la lingua, ma nei fatti e nella verità”. Come giustamente molti si occupano delle giovani generazioni, dell’educazione dei piccoli che crescono, perché restino tralci vivi, attaccati all’unica vite, che è Cristo, così servono persone che favoriscano il ritorno, l’accoglienza di chi si è staccato, prima che diventi come un ramo secco. Solo a Dio spetta il giudizio.
 
Nella parabola della vite e dei tralci sorprende lo stesso destino che accomuna il tralcio secco e il tralcio che ha portato frutto: entrambi vengono tagliati. Per l’uno però si tratta di una eliminazione, per l’altro di una potatura, perché possa portare più frutto. Nell’uno e nell’altro caso è escluso che si possa vivere di rendita, che si possa proseguire in uno stato fisso di cose. Il grande merito di Barnaba, poi seguito in questo da Paolo, è appunto quello di essere uscito da una cerchia ristretta, per aprirsi alla novità dello Spirito, all’agire imprevedibile di Dio. Solo una comunità cristiana aperta e missionaria, pronta a tendere la mano a chi era un tempo nemico, potrà davvero portare frutto secondo il volere del Padre.