UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Spunti dalle letture

La prima lettura constata il fallimento dell’alleanza al Sinai: il popolo non è stato fedele, non ha ascoltato i richiami dei profeti, si è allontanato dal suo Dio. Il risultato è stato la disgregazione, la deportazione, la perdita della libertà e della terra, la perdita della ricchezza che si era accumulata (accumulata, beninteso, a svantaggio […]
31 Gennaio 2012
La prima lettura constata il fallimento dell’alleanza al Sinai: il popolo non è stato fedele, non ha ascoltato i richiami dei profeti, si è allontanato dal suo Dio. Il risultato è stato la disgregazione, la deportazione, la perdita della libertà e della terra, la perdita della ricchezza che si era accumulata (accumulata, beninteso, a svantaggio dei poveri del popolo). Un interrogativo pressante si pone per noi: ciò significa il fallimento dell’azione educativa di Dio? Dio è stato incapace di educare il suo popolo? Notiamo che lo stesso interrogativo si pone anche per chiunque oggi accetti di intraprendere la difficile impresa di educare, in un contesto che appare del tutto sfavorevole. Ma non è solo il contesto a generare ostacoli e delusioni: spesso sono proprio le persone a cui si vuole trasmettere la propria esperienza, i propri valori, la tensione a ciò che è bello e grande, la tensione verso Dio… proprio costoro spesso rifiutano gli insegnamenti ricevuti, e si incamminano su vie totalmente differenti. È fallita l’azione educativa?
 
Ci scontriamo qui con il grande mistero della libertà umana, che perfino Dio rispetta, anche quando si esprime nel rifiuto. Ma è bene notare che a questo tipo di libertà, che si esprime come libertà di scelta, libertà di dire no, non corrisponde un’esistenza liberata e liberante. Rifiutando Dio, esprimendo in maniera polemica la sua pretesa di libertà, il popolo non va incontro ad una reale promozione della sua esistenza, anzi entra nel degrado dell’ingiustizia, della sopraffazione: fino a quando la libertà diventa un fatto di pochi (il re, i capi, i sacerdoti e i profeti corrotti…) che dominano su una massa di schiavi (talora parzialmente consenzienti, appagati dall’illusione nazionalistica, dal culto idolatrico, da apparenze di benessere). È inquietante constatare come la descrizione dell’itinerario percorso dall’antico popolo di Israele, secondo la Scrittura, possa avere sinistri parallelismi con il nostro mondo occidentale e globalizzato: alle grandi conquiste e alle grandi promesse della modernità, fa riscontro il tramonto delle ideologie, il crescente condizionamento economico, lo scarto sempre più accentuato tra i pochi che hanno il potere economico e finanziario per decidere della propria esistenza, e la grande massa di coloro che rimangono prigionieri del loro status, di povertà o di illusorio benessere, sempre meno valutati nella loro dignità di persone umane. Anche oggi constatiamo che l’umanità ha la libertà di decidere, ma se non si decide per il bene va incontro inevitabilmente al fallimento. Come dice Gesù: “gli uomini hanno amato più le tenebre della luce, perché le loro opere erano malvagie”. La libertà di scelta, la libertà di dire no alla vita, di dire no alla fraternità e alla solidarietà, la libertà di rifiutare il bene esiste, ma è una libertà malata, che autoalimenta la propria malattia.
 
Abbiamo tracciato sin qui un quadro pessimistico dell’esperienza di Israele, che getta una luce scomoda e spiacevole su un possibile esito di ogni esperienza umana; anche della nostra attuale civiltà. Ma la parola di Dio porta anche un annuncio differente: Dio non si rassegna alla devastazione del peccato, non vuole che l’uomo cada vittima del suo cuore indurito.
 
Per il popolo esiliato e reso di nuovo schiavo si apre la possibilità di tornare a sperare: Dio resta fedele alla sua alleanza. Il popolo fallito può ripartire, l’esperienza dell’esilio si trasforma in una nuova azione educativa da parte di Dio. Deportato in terra straniera, privato della sua libertà, il popolo ritrova la relazione con il Signore, l’autenticità delle sue radici, riscopre la propria identità. Scopre un livello più alto di libertà, che consiste nella possibilità di osservare la legge del Signore, indipendentemente dai condizionamenti esterni, fino a quando arriva la possibilità del ritorno. Essa arriva per vie inaspettate: è un decreto di Ciro, re pagano, ad aprire la strada al ritorno e alla ricostruzione del tempio.
 
La fedeltà di Dio è confermata e portata a compimento da Gesù. Egli annuncia che Dio non lo ha mandato a condannare, ma a salvare. Il simbolo del serpente nel deserto è il richiamo ad una possibilità di risanamento che viene offerta, con la massima ampiezza. Come era facile guardare al serpente per essere guariti, così è estremamente semplice credere in Gesù per essere salvati. Ma perché allora avviene il rifiuto? Paradossalmente, esso è provocato proprio dall’estrema semplicità a cui è pervenuta la salvezza: si tratta infatti di “venire verso la luce”, di lasciarsi illuminare da Cristo. Chi però compie opere malvagie viene smascherato. Chi agisce per vanagloria e non per Dio, viene come spogliato delle apparenze di cui si riveste. Chi pretende orgogliosamente di essere autosufficiente, è chiamato a scoprire di essere salvato “per grazia”, ed è ricondotto al legame con Dio e con i fratelli. Non è poi così stupefacente se molti preferiscono rimanere nelle tenebre dell’autoillusione, anche tra chi esteriormente si professa credente.
 
L’annuncio del perdono ha anche una risonanza sociale e civica. Negli attuali tempi di crisi è fin troppo facile la caccia al colpevole, al capro espiatorio, e la paura di perdere benessere e sicurezza induce facilmente ad abbandonarsi a discorsi semplificatori e parziali. La ricerca di un facile colpevole rischia di essere un comodo strumento per non guardare in faccia ai problemi e per tirarsi fuori dalla soluzione. La parola divina invita a constatare il fallimento di un modello economico che ha preteso di sganciarsi dall’etica e dalla solidarietà. Allo stesso tempo, suggerisce che la soluzione non sta in esecuzioni sommarie, in approssimative colpevolizzazioni, e neppure in soluzioni tecniche, organizzative, finanziarie: ciò di cui c’è bisogno è un’etica ritrovata, la condivisione di valori forti, un’ispirazione alta e non materialistica del vivere comune. La crisi economica può essere vinta attraverso una vera educazione, che non sia solo indottrinamento di massa.
 
L’annuncio del perdono invita a riscoprire importanti facoltà educative: la capacità di risollevarsi dalle cadute, di non perdere la speranza, di restare vicino a chi ha sbagliato, di ritrovare i valori fondamentali. I giovani hanno bisogno di scoprire valori alti; e gli adulti hanno bisogno di trasmetterli ai giovani, per poterli essi stessi ritrovare. Una simile azione però implica una capacità di relazioni strette, di contatto personale. I valori autentici non si possono forzare: si trasmettono da genitore a figlio, da maestro a discepolo, da persona a persona. Gesù chiede un’adesione personale di questo tipo, libera e convinta, che inscerise in una comunità, ma che non si basa su un condizionamento massificante. In un simile quadro, ogni singolo individuo si ritrova ad essere un possibile educatore, un possibile modello, un possibile aiuto per ogni persona che vuole ritrovare la via della luce.