UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Contributo dell'Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro

Il lavoro è vocazione Il lavoro è vocazione primordiale dell’uomo e non castigo divino. Chiamato a coltivare e custodire il creato, l’uomo attraverso il lavoro esprime sé stesso, il proprio talento, le proprie capacità, la propria creatività a immagine del Creatore, di un Dio che “lavora” nella Creazione e nella Redenzione. Il lavoro, se è dignitoso, […]
16 Febbraio 2012
Il lavoro è vocazione
 
Il lavoro è vocazione primordiale dell’uomo e non castigo divino. Chiamato a coltivare e custodire il creato, l’uomo attraverso il lavoro esprime sé stesso, il proprio talento, le proprie capacità, la propria creatività a immagine del Creatore, di un Dio che “lavora” nella Creazione e nella Redenzione. Il lavoro, se è dignitoso, è benedizione dell’uomo e di Dio e rimanda l’uomo a Dio. A Dio che ha lavorato sei giorni e il settimo si è riposato, ha fatto festa e ha gioito, trovando bella l’opera delle sue mani (Gen 2,2); a Dio che «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo» (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, n. 22).
 
Normalmente concepiamo il lavoro in tre modi: a. il lavoro è sofferenza, tortura; b. il lavoro è un’area amorfa, sopportabile che non mi impedisce di cercare altrove la mia autorealizzazione. c. il lavoro è autorealizzazione, ci si identifica con esso. Ancora, possiamo descrivere il lavoro come: un posto, che mi offre successo economico; una carriera, che mi offre successo professionale e prestigio sociale; una vocazione, che realizza me stesso nel rapporto con gli altri, con il mondo e con Dio.
 
Gesù ci insegna a valorizzare il lavoro e a non lasciarsi asservire da esso, a viverlo nella profonda relazione tra la fede e la vita, che permette all’uomo, anche attraverso il lavoro, di accogliere gli altri come fratelli e di custodire il creato come dono di Dio. In una parola a vivere il lavoro come una vocazione. È bello soffermarsi sul lavoro a partire da un pensiero di Sant’Ambrogio: «Ciascun lavoratore è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene» (Sant’Ambrogio, De obitu Valentiniani consolatio, 62: PL 16, 1438). Con il suo lavoro e la sua laboriosità, l’uomo, partecipe dell’arte e della saggezza divina, rende più bello il creato, il cosmo già ordinato dal Padre; suscita quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune, a vantaggio soprattutto dei più bisognosi.
 
È importante comprendere che non ci può essere dignità nel lavoro, come negli altri ambiti della vita umana, senza moralità, senza un agire libero e responsabile, senza il valore fondante che è la persona umana. La dignità della persona umana è il criterio per valutare la dignità del lavoro. Se si rovina il senso complessivo della vita umana, ogni dimensione dell’esistenza perde il suo valore.
 
Tre immagini ci aiutano a parlare di lavoro come vocazione (Mi ispiro al testo di Raniero Regni, Educare con il lavoro. La vita activa oltre il produttivismo e il consumismo, Armando editore, Roma 2006, pp. 124-125): la quercia, la creta e la porta.
 
Comprendiamo che la quercia che noi diverremo è già tutta dentro la ghianda (noi stessi). Il Regno di Dio «è simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami» (Lc 13,19). Come l’albero, che è simbolo per eccellenza della crescita, la vocazione cresce in noi perché discende sempre più in noi, si approfondisce ed emerge sempre più le sue radici nell’intimo del nostro essere. Più comprendiamo noi stessi e più cresce la nostra vocazione.
 
La creta di cui siamo fatti ha bisogno di essere animata dal soffio di Dio: «il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). Senza un lavorio incessante su noi stessi la vita perde la sua direzione, il suo senso. Saint-Exupéry ci ammonisce: «Adesso la creta di cui sei composto si è seccata, si è indurita, e nessuno potrebbe ridestare in te il musicista addormentato, o il poeta, l’astronomo che forse c’erano all’inizio».
 
La porta aperta ci ricorda le numerose opportunità che abbiamo nella vita. Gesù ci ricorda: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9). Kafka, ne Il Castello, racconta di un contadino che chiesta udienza all’imperatore attende per tutta la vita di fronte alla porta aperta del castello senza mai entrare. Occorre varcare la porta della vita, quella porta è stata aperta solo per te, ma tu non l’hai varcata. Si deve scommettere su se stessi per essere afferrati dalla nostra stessa vocazione.
 
Il sintesi il lavoro come vocazione…
-     è legato alla vita della persona, è compito unico e irripetibile, ciò che non facciamo noi non lo farà nessuno;
-     è vita della e per la persona, ma non è mai affare privato, perché aperto a una comunità più ampia, agli altri, a Dio;
-     è servizio nella città e nella società, missione nel mondo;
-     è costruzione di un progetto che parte da lontano (dal passato), si incarna nell’oggi (vive il presente) e proteso al domani (verso e per il futuro); se il futuro non alimenta il presente, è illusione, solo la visione di un futuro possibile alimenta il presente;
-     è dono di sé a Dio e quindi agli altri nella gratuità delle opere e nella fedeltà dei giorni.
Viviamo il nostro lavoro come vocazione, nella certezza che la nostra vocazione e il nostro futuro si incrociano nella speranza del vivere bene ogni giorno il Vangelo di Gesù.
 
 
Custodire il creato
 
Mi sembra opportuno sottolineare il “coltivare e il custodire” della Genesi (cfr Gen 2,15) nel senso di “promuovere e di proteggere”, e non solo la preoccupazione a non rovinare qualcosa. L’approccio cristiano alle tematiche ambientali parla anzitutto di creato, perché riconosce in Dio Padre il Creatore del cielo e della terra, come professiamo nel Credo. Il creato è dono di Dio per la vita di tutti gli uomini «e il suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l’umanità intera» (Benedetto XVI, Caritas in veritate, 48). A motivare il nostro impegno per il creato è la passione verso l’uomo, la ricerca della solidarietà a livello mondiale, ispirata dai valori della carità, della giustizia e del bene comune, vissuti nella fede e nell’amore di Dio.
 
Il cristiano guarda alla natura con riconoscenza e gratitudine verso Dio, per questo non la considera un tabù intoccabile o tanto meno ne abusa con spregiudicatezza; «ambedue questi atteggiamenti non sono conformi alla visione cristiana della natura, frutto della creazione di Dio» (Ivi.).
L’approccio cristiano mette Dio creatore al primo posto, l’uomo come prima creatura e il creato come dono di Dio all’uomo, perché nel creato l’uomo, ogni uomo, tutto l’uomo si sviluppi e faccia sviluppare il creato stesso in tutte le sue componenti: uomini, animali, piante,… La visione cristiana sul creato è il camminare insieme dell’uomo e dell’ambiente verso Dio.
 
La vita umana, le attività dell’uomo e il dramma nel quale ogni giorno si gioca e si decide l’umana libertà, avvengono su quel palcoscenico che è il mondo. Esso, in quanto uscito dalle mani di Dio, è buono e bello: «e Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,9.12.18.21.25). Seguendo i principi della Dottrina sociale della Chiesa, l’azione dell’uomo nel mondo non può che essere di rispetto e incremento di tutto ciò che è buono/bello. L’entusiasmo con cui la bellezza e la bontà delle cose create viene affermata ne implica il rispetto, mentre l’insistenza sull’ordine che regna nel creato ne esige la conservazione.
 
La nostra vita deve svolgersi nel rispetto dell’ambiente che il Signore ci ha donato: «C’è spazio per tutti su questa nostra terra: su di essa l’intera famiglia umana deve trovare le risorse necessarie per vivere dignitosamente, con l’aiuto della natura stessa, dono di Dio ai suoi figli, e con l’impegno del proprio lavoro e della propria inventiva». Abbiamo il dovere gravissimo «di consegnare la terra alle nuove generazioni» affinché «possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla». Ciò è possibile solo rafforzando «quell’alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino» (Benedetto XVI, Messaggio per la XLI Giornata Mondiale della Pace 2008, 7).
 
Custodire il creato significa difendere «la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti» e «proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso… Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana: quando l’“ecologia umana” è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio». Infatti, «il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale» (Idem, Caritas in veritate, 51). Se si avvilisce la persona, si sconvolge l’ambiente e si danneggia la società, è necessario quindi educarci a una responsabilità ecologica che «affermi con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto della natura» (Idem, Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale della Pace 2010, 12).
 
È necessario educarci ed educare a una grande attenzione nei confronti del creato per favorire la crescita di una cultura attenta all’ambiente, rispettosa della persona, della famiglia, dello sviluppo e di una civiltà dell’amore cristiano capace di custodire con tenerezza il creato. Esiste una grande reciprocità tra noi, il creato e Dio, anzi – come felicemente afferma Benedetto XVI – «nel prenderci cura del creato, noi constatiamo che Dio, tramite il creato, si prende cura di noi» (Ibidem, 13).