UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

L'incarnazione del verbo, “mistero della fede” creduto e celebrato

Signore, Dio onnipotente,che ci avvolgi della nuova luce del tuo Verbo fatto uomo,fa’ che risplenda nelle nostre opereil mistero della fedeche rifulge nel nostro spirito. (Messale Romano, colletta della messa dell’aurora, Natale del Signore)  La deriva commerciale delle feste che chiudono l’anno, un certo impianto sentimentalistico e l’accumulo di tante giornate festive in un periodo abbastanza breve, […]
9 Novembre 2012
Signore, Dio onnipotente,
che ci avvolgi della nuova luce del tuo Verbo fatto uomo,
fa’ che risplenda nelle nostre opere
il mistero della fede
che rifulge nel nostro spirito.
 
(Messale Romano, colletta della messa dell’aurora, Natale del Signore)
 
 
La deriva commerciale delle feste che chiudono l’anno, un certo impianto sentimentalistico e l’accumulo di tante giornate festive in un periodo abbastanza breve, certamente non aiutano l’uomo contemporaneo a vivere la celebrazione del mistero dell’incarnazione in pienezza. Se la nascita di un bimbo porta sempre con sé un afflato sentimentale e induce alla poesia, il mistero del Dio fatto uomo è preludio alla sua Pasqua di morte e di risurrezione. Il suo farsi carne culmina nel dono del sangue sulla croce e coincide con il rifiuto della sua gente: «Venne fra i suoi e i suoi non l’anno accolto» (Gv 1,11). Il segmento dell’incarnazione va dunque compreso nella prospettiva più ampia del mistero pasquale.
Abbeverarsi alle fonti della Scrittura e della tradizione liturgica è estremamente necessario per celebrare degnamente non una qualsiasi festa invernale, ma la venuta di Cristo nella nostra carne «quando venne la pienezza del tempo» (Gal 4,4). L’incarnazione non è evento isolato, ma va compreso nel mistero pasquale di Cristo secondo la teologia leoniana ripresa dalla liturgia delle ore: «Godiamo nel Signore, dilettissimi, e lasciamoci inondare di gioia interiore, perché è sorto il giorno luminoso della nuova redenzione, giorno dell’attesa antica, giorno della felicità eterna. Perché col ciclo liturgico annuale ci viene reso presente il mistero (sacramentum) della nostra salvezza, promesso fin dal principio, concesso alla fine del tempo e destinato a rimanere senza fine» (Leone Magno, Discorso 22,1; cfr. Ufficio delle Letture del Natale del Signore, responsorio dopo la seconda lettura). Nel sacramentum della liturgia - e nell’Eucaristia in particolare - la Chiesa rivive “oggi” il dono di grazia di Dio venuto a visitare come sole che sorge l’umanità immersa nelle tenebre del male.
 
I testi liturgici, infatti, pongono in particolare rilievo soprattutto alcuni aspetti:
 
- la comprensione del Natale nell’unico mistero di salvezza contro ogni tentazione parcellizzante: un mistero non semplicemente ricordato, ma celebrato nella sua ricchezza e rivissuto dalla Chiesa nel tempo;
  
- il Natale è “epifania” del Signore in mezzo agli uomini: è un mistero di luce (cfr. i tre prefazi del tempo) nel quale il Figlio di Dio “appare” all’uomo e la debolezza umana viene innalzata alla comunione di vita con Dio;
 
- il Natale celebra l’assunzione dell’umano da parte di Dio per salvarlo (cfr. colletta del Natale, messa del giorno): la debolezza del Dio Bambino, scandalosa per i grandi e i benpensanti, è forma di vita per la Chiesa che, così, può riconoscere soltanto in lui la salvezza.
 
Soltanto se la Chiesa osa ancora fare sacramentum nel procedere dei tempi e nel mutare delle situazioni può stupirsi e soprattutto “partecipare” agli eventi straordinari dell’amore di Dio per l’uomo. Se la Chiesa non smarrisce la fiducia nella potenzialità della memoria liturgica, per cui può dire con commozione “Oggi Cristo è nato”, la storia può ancora incontrare l’evento salvifico e rimanerne contagiata. Se la Chiesa osa ancora celebrare il Natale senza arrestarsi allo sterile ricordo e senza bruschi ripieghi sul lato moralistico può trovare e custodire la fonte zampillante che alimenta il suo cammino nel tempo e vivifica la sua perenne testimonianza. Le tappe dell’anno liturgico, allora, diventano occasione preziosa e necessaria per vivere la memoria dell’evento che fonda la nostra vita di fede e per ridestare la profezia del compimento del medesimo cammino, oltre la contingenza del momento, nel mistero infinito di Dio. La storia così non è umiliata o depotenziata, ma trova la sua piena realizzazione nella visita di Dio fatto uomo e nel suo ritorno glorioso verso il quale ogni credente indirizza i suoi passi. Celebrare il Natale, tanto più nell’anno della fede, è rinnovato stupore per l’azione consolante di Colui che sorprende sempre l’uomo con il suo amore e, unico, riesce a dare senso a ciò che umanamente impensabile, un senso di salvezza e di vita piena: «In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostra storia di salvezza» (Benedetto XVI, La porta della fede, 13).